Renzo Gandolfo (1900-1987)
“professore, critico, piemontesista”, “suscitatore di intraprese culturali” *
Albina Malerba
* Questo testo è stato parzialmente pubblicato sul numero speciale del “Bollettino della Società per gli Studi Storici, Archeologici ed Artistici della Provinai di Cuneo, n.161, 2° semestre 2019, dedicato a I novant’anni della Società per gli Studi Storici di Cuneo. Protagonisti e storiografia, a cura di Emanuele Forzinetti. Le citazioni del sottotitolo sono da Giuliano Gasca Queirazza nell’articolo Una via di Torino per Renzo Gandolfo, in “Studi Piemontesi”, XXIX, 2 (2000), p. 340; e nella Premessa alla silloge di studi, “tributo augurale di stima, di ammirazione e di amicizia”, Civiltà del Piemonte. Studi in onore di Renzo Gandolfo nel suo settantacinquesimo compleanno, a cura di Gianrenzo P. Clivio e Riccardo Massano, Torino, Centro Studi Piemontesi, 1975, 2 voll. pp. XV-886.
La storia di una Istituzione si intreccia sovente con la storia di una persona, che a partire da un cuore intelligente abbia saputo raccogliere energie, stringerle insieme, indirizzarle ad uno scopo comune. Il Piemonte e la sua eredità di cultura còlta nel respiro europeo della sua vocazione più autentica, è alla radice del pensiero di Renzo Gandolfo, la cui opera per il Piemonte non è scindibile dalla “sua” Ca dë Studi Piemontèis. Renzo Gandolfo, il “professore” del Centro Studi Piemontesi, era nato a Cuneo il 13 giugno del 1900. Trasferitosi a Torino con la famiglia, si laurea nell’Ateneo torinese con Erminio Juvalta, discutendo una tesi che ha per titolo Idee preliminari sulla posizione del problema morale. Per alcuni anni insegna ad Alessandria d’Egitto, dove il 31 dicembre del 1923 sposa Elena Donelli, una giovane di famiglia parmense, laureata con Ernesto Codignola al Regio Istituto di Magistero di Firenze. Rientrato a Torino nell’ottobre del 1924, s’impiega per un breve periodo alla Banca Commerciale. Poi conosce l’industriale e finanziere Riccardo Gualino, che avendo acquistato il quotidiano milanese “L’Ambrosiano” gli offre un posto come redattore al servizio Esteri del giornale. Non volendo sottostare all’obbligo di iscrizione al Partito Nazionale Fascista, nel 1930 lascia il quotidiano milanese e si trasferisce a Roma, dove riprende l’insegnamento presso l’Istituto Massimo dei Padri Gesuiti. Attraverso una serie di circostanze solo apparentemente fortuite, accetta poi la carica di Segretario del Commissariato Generale per la Navigazione dell’Adriatico, esercitata dalla Società Fiumana di Navigazione, di cui diventa nel tempo amministratore unico, quando viene trasformata in Società Adriatica Industrie Marittime, e infine direttore generale fino allo scioglimento nel 1961.
A Roma, nell’estate del 1944, in piena guerra civile, con altri amici subalpini, che per ragioni di lavoro, di politica, o per vincoli ereditari vivono nella capitale, dà vita alla Famija Piemontèisa di Roma, prestigioso sodalizio che ebbe come primo Presidente Luigi Einaudi, sostituito quasi subito da Giuseppe Pella, perché chiamato alla Presidenza della Repubblica. Gandolfo che ne era l’anima e il regista ricoprì sempre soltanto la carica di Vice–Presidente, secondo il suo stile sobrio, portato molto di più al fare che all’apparire. Ma non è un caso che lo storico siciliano Rosario Romeo nella Prefazione al suo monumentale lavoro su Cavour e il suo tempo pubblicato da Laterza, ricordasse come “La prima origine di questo lavoro risale ad un’iniziativa promossa in anni ormai lontani dalla Famija Piemontèisa di Roma” e indicasse in Gandolfo il committente e l’ispiratore: “A Renzo Gandolfo in particolare sento di dover qui dichiarare la mia gratitudine per la costante fiducia, le prove ripetute di interessamento, la cooperazione che fin dall’inizio non mi è mai mancata da parte sua, così che questa è in certo senso opera comune: per certi aspetti pratici, e per altri che appartengono invece alla sfera dei pensieri e delle idee” (R. ROMEO, Cavour e il suo tempo (1810-1842), Bari, Laterza, 1971, vol. 1, p. XI).
A Torino Gandolfo torna nel 1961, inviato dall’onorevole Pella, per disegnare e coordinare i lavori del volume commemorativo del Primo centenario dell’Unità d’Italia (La Celebrazione del Primo Centenario dell’Unità d’Italia, Torino, Comitato Nazionale per la Celebrazione del Primo Centenario dell’Unità d’Italia, 1961, pp. XXXIX-685, 249 ill. in b. e n. 64 tavole a colori), ristabilendosi poi definitivamente dal 1962 quando viene chiamato in Fiat come Consulente della Presidenza e della Direzione Generale. Intanto all’attività di promotore e di operatore, sia in campo imprenditoriale, sia in campo culturale, Renzo Gandolfo accompagna una non numerosa ma raffinata attività di studi, in particolare sulla letteratura in lingua piemontese (Si vedano i titoli più significativi nella Nota bibliografica, premessa al volumetto R. GANDOLFO, Conoscenza citato più sotto, pp.13-18).
I tempi sono maturi per riprendere un sogno accarezzato fin dagli anni dell’ “esilio” romano: raccogliere attorno ad un ambizioso progetto alcune forze vive e operanti sul territorio, con l’intenzione di ridar vigore e dignità alla cultura regionale, studiata e vissuta in chiave europea. È il 1969. Su queste premesse, alla vigilia dell’istituzione delle regioni, nasce il Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis, e tre anni dopo la rivista semestrale interdisciplinare “Studi Piemontesi”, progetto accarezzato e delineato da Gandolfo già fin dagli Anni Cinquanta. Ha settant’anni e una energia intatta. “Gandolfo -scriveva Luigi Firpo in un suo ricordo – mi ispirava una profonda soggezione, e lo dico quasi arrossendo ancora di imbarazzo, perché in fondo insegnavo da anni all’Università, ero persino accademico dei Lincei. Però di fronte a lui mi sentivo timido come un ragazzino, perché leggevo nel suo sguardo una volontà d’acciaio: […] Gandolfo era una spada nuda, una lama tesa; dritto, lucido, freddo, fermo, poi magari appassionato nell’intimo, ma verso l’esterno e di fronte al dovere, al fare, al dare, era di un’intransigenza assoluta” (L. FIRPO, Ricordo di Renzo Gandolfo, “Studi Piemontesi”, XVI, 2 (1987); poi pubblicato in un volumetto fuori commercio, Ricordo di Renzo Gandolfo, insieme ai contributi di ANGELO DRAGONE, Renzo Gandolfo, un piemontese che guardò al futuro, e di GIOVANNI TESIO, Renzo Gandolfo saggista e poeta, pronunciati nel corso della commemorazione tenuta il 27 aprile 1987 nell’Aula del Consiglio regionale del Piemonte a Palazzo Lascaris).
Filosofo per formazione, classicista per sensibilità, liberale per tradizione familiare, manager per esigenze della vita, ha coltivato da sempre il convincimento fermo e attivo che la difesa e la valorizzazione delle virtù intessute nella storia della civiltà piemontese non fossero esercizio accademico, o nostalgico riparo, ma al contrario costituissero l’humus della crescita, e in certe epoche storiche la sola premessa della rinascita civica e morale di una gente: “…il passato piemontese di un Piemonte non agiografico ma con le sue luci e le sue ombre, le sue cadute e le sue vittorie, ha in sé la possibilità di una “mitizzazione”: non saprei quale altra regione potrebbe offrire tale supporto: l’idealizzazione di una società realmente vissuta, non in una Repubblica platonica o in un Regno di utopia, ma in una terra reale con una continuità dura e volitiva” (R. GANDOLFO, Conoscenza cit., p. 50).
Il catalogo delle pubblicazioni realizzate, i sommari dei fascicoli della rivista, la lista dei Convegni promossi negli anni di instancabile dedizione alla Ca dë Studi Piemontèis sono documenti tangibili del lavoro compiuto, senza raccontare del minuto impegno quotidiano di tessitura e di testimonianza.
A cent’anni dalla nascita la Città di Torino, per iniziativa del Centro Studi Piemontesi, che aveva promosso una grande raccolta di firme, gli ha intitolato una via: il tratto tra corso Re Umberto e via Confienza, parallelo alle vie che portano il nome di due altri grandi piemontesi Michele Ponza e Angelo Brofferio.
“Dedicare una via – ricordava Giovanni Tesio nell’intervento alla cerimonia ufficiale di intitolazione il 19 settembre 2000 – ha il sapore di un rituale di resistenza. Di quella resistenza semplicemente umana che gli uomini oppongono alla civiltà postmoderna dell’omologazione, di perdita dell’identità” (G. TESIO, Una via di Torino per Renzo Gandolfo, in “Studi Piemontesi”, XXIX, 2 (2000), p. 340).
Sarebbe però un errore pensare a Renzo Gandolfo con i colori della nostalgia del bel tempo d’antan. Se il ricordo resiste è perché il suo pensiero e la sua opera hanno radici profonde e lontane che hanno sempre saputo guardare al futuro. “Figura di spicco – scriveva Angelo Dragone nei giorni successivi alla scomparsa – e di sicuro riferimento in un ormai perturbato quadro della società italiana contemporanea. Sicché pareva uscito, dopo il lungo ventennio fascista, dal fervore stesso della ricostruzione postbellica, mentre in realtà affondava le sue radici nel miglior nostro passato democratico, di cui ha espresso con esemplare concretezza le rinnovate, più alte aspirazioni. Tra breve, col rapidissimo trascorrere del tempo, dinanzi al suo nome le nuove generazioni saranno portate a collocare l’opera nel campo degli studi storici-letterari […] E potrebbero anche esser portate a coltivare il mito nato dalla testimonianza che gli si continuerà a rendere nelle nostre famiglie piemontesi, additandone ad esempio l’antica severa moralità, cui Renzo Gandolfo ha improntato l’intera sua vita d’uomo e il civile impegno erga omnes; con l’eletta umanità e lo spirito che l’hanno guidato nel corso di un’esistenza interamente spesa a vantaggio della società di cui doveva sentirsi partecipe, ma in primo luogo della terra in cui era nato e cresciuto, la sua ‘piccola patria’ piemontese” (A. DRAGONE, Renzo Gandolfo, un piemontese che guardò al futuro cit.).
Se il volto di una città è nel profilo della sua architettura, nello snodarsi e riannodarsi di facciate, piazze, giardini, nell’intersecarsi geometrico di contrade e viali, l’anima della sua storia è stratificato nel nome delle strade. Che il nome di Renzo Gandolfo resti inciso nella toponomastica del centro di Torino e in quella di Cuneo a Madonna dell’Olmo, dove Gandolfo trascorreva le sue estati (su la cascina “Benessìa” di Madonna dell’Olmo si veda il racconto Arcòrd nel volumetto R. GANDOLFO, Da ‘n sla riva…, raccolta di poesie e prose in piemontese pubblicate postume a cura di A. Malerba e G. Tesio, Torino, Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis, 1988, pp. 31-36), ci richiama al senso di continuità e di condivisione che ogni individuo e ogni comunità dovrebbe avere: ”La sensassion e la religion ëd fé part ëd na caden-a ch’an gropa ai nòstri vej e che noi, dòp d’avèj giontà nòstr anel, i dovoma passé ai nòstri fieuj”( la sensazione e la religione di far parte di una catena che ci lega ai nostri antenati e che noi, dopo aver aggiunto il nostro anello, dobbiamo consegnare ai nostri figli).
Il 14 marzo 1987 Renzo Gandolfo moriva nella sua casa di via Revel 15 a Torino, oggi sede del Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis. E in queste aperte stanze, rinnovate per la sistemazione dell’Archivio istituzionale e della Biblioteca storica, superati i 50 anni di fondazione, il lavoro continua nel solco dei valori etici e culturali tracciati “dal professore”.
Per i 50 anni di fondazione del Centro Studi Piemontesi è stato ristampato il volumetto: Renzo Gandolfo, Conoscenza – e coscienza – attuale del passato piemontese Torino, Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis, 2019 pagg. 51. ISBN 978-88-8262-192-6.
Testo della conferenza tenuta da Renzo Gandolfo al Circolo della Stampa di Torino il 31 maggio 1984, poi pubblicato sulla rivista “Studi Piemontesi” fascicolo 2, volume XIII, novembre 1984. Ristampato in occasione del “Ricordo di Renzo Gandolfo” nel decimo anniversario della scomparsa, celebrato il 2 aprile 1997, al Circolo della Stampa di Torino. Nuova ristampa per festeggiare il 50° di fondazione del Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis, 11 giugno 2019 (Prezzo di copertina € 5 – in omaggio ai Soci).
Sono passati esattamente 51 anni dalla fondazione del Centro Studi Piemontesi e 36 dalla conversazione Conoscenza – e coscienza – attuale del passato piemontese, che Renzo Gandolfo tenne al Circolo della Stampa di Torino il 31 maggio 1984 mettendo magistralmente a fuoco «quella stratificazione millenaria di esperimenti e di acquisizioni» costituente l’essenza della civiltà piemontese.
Il messaggio di Gandolfo, nuovamente consegnato alle stampe, per festeggiare il cinquantenario della Ca dë Studi, conserva un’attualità vigorosa, una lucidità cristallina e non cessa di indicare la strada per cementare, conservare e rinnovare una civiltà che merita di mantenersi e trasmettersi vitale ed espressiva non solo in un contesto semplicemente internazionale o cosmopolita ma anche, eventualmente, in un mondo “globale” che sembra volersi formare senza troppi riguardi per le identità e i valori locali o nazionali.
Guardando alle nuove sfide e all’impegno che da parte di ciascuno è auspicato di fronte a un mondo in turbinosa evoluzione, merita concludere con alcune espressioni del professor Gandolfo che, all’insegna del realismo, ci ha lasciato un monito che è, ad un tempo, esortazione a difendere e diffondere dinamicamente valori e civiltà, agendo e “partecipando”: «senza miti, senza drapò di raccolta e di battaglia, quale società mai ha fiorito? I popoli inerti sono destinati a rientrare nel ventre oscuro della storia».