Storia, storie, figure del Piemonte e degli antichi Stati Sabaudi
Gustavo Mola di Nomaglio
Sul finire del maggio 1994 i quotidiani di tutto il mondo diedero, alcuni con molto risalto, la notizia della morte, a Parigi, di Marcel Bich, un «audace aristocratico -secondo un’espressione di Le Monde- smarritosi nell’industria». Bich era nato a Torino il 29 luglio 1914 da una famiglia valdostana. I titoli dei giornali lo definirono, riferendosi alle origini nobiliari e alla sua creatività, il “barone-inventore”, oppure, richiamandosi ai suoi straordinari successi imprenditoriali, la “leggenda della penna a sfera”, il “signore delle sfere”, il “profeta dell’usa e getta” e in tanti atri modi, suggeriti da una vita fuori dall’ordinario.
Quella dei Bich è forse la famiglia della nobiltà sabauda più famosa del pianeta, anche se non sono certo in molti a ricordarne le origini subalpine. Ogni giorno decine di milioni di persone ne pronunciano il nome per acquistare biro, accendini, rasoi. Il padre di Marcel, Amato Raoul, ingegnere minerario, nato nel 1882 dal secondo matrimonio di Claudio Nicola (magistrato e storico ben noto in Val d’Aosta, autore con Amé Gorret di una pregevolissima guida della Valle d’Aosta edita nel 1876 e di altri analoghi studi) con Maria Teresa Vialet de Montbel si era stabilito in Francia nel primo dopoguerra ed era stato naturalizzato francese nel 1930. Marcel esordì come imprenditore giovanissimo, occupandosi di penne stilografiche e di inchiostri. All’inizio degli anni Cinquanta del Novecento perfezionò l’invenzione di Lazlo Josif Biro -un’intuizione geniale, la cui realizzazione pratica aveva però, sino a quel momento, difetti e problemi funzionali- creando, con la società che portava il suo nome (seppur privato della <h> finale, eliminata per conservare anche in Francia il suono duro che caratterizzava il cognome o per altri motivi fonetici) una penna a sfera quasi perfetta che, fabbricata con sofisticati macchinari appositamente progettati, durava a lungo, non sbavava e riusciva ad utilizzare un inchiostro quasi inodore. Il successo clamoroso trasformò la Bic in una grande multinazionale e la portò ad occuparsi di tempo in tempo di numerosi altri prodotti, non solo legati al concetto dell’usa e getta, come nel caso dei windsurf Bic.
Marcel ereditò il titolo di Barone solo nel 1956, quando morì, celibe e senza discendenza, il fratellastro del padre, Emanuele (Lino) che era nato il 5 aprile 1877 dal primo matrimonio del già nominato Claudio Nicola con Gabriella Mola di Nomaglio. Lino Bich (nato nel 1876) fu un personaggio noto e molto amato nella società torinese. Conseguito il diploma di musica in Germania divenne musicista e musicologo, dedicando alla musica, si può dire interamente, la propria vita. L’illustre storico e studioso valdostano Lin Colliard, recentemente scomparso, scrive di lui che fu uno «spirito avventuroso e originale». Uno scarso senso pratico – che peraltro ben si conciliava con una personalità da gran signore e da artista – e la completa distruzione del suo appartamento torinese, in piazza San Martino 3 (oggi piazza XVIII dicembre) distrutto completamente da un incendio provocato dai bombardamenti anglo-americani dell’ultima guerra, lo portarono a trovarsi in precarie condizioni economiche. Poté salvare alcuni ricordi e, quasi miracolosamente, il suo prezioso pianoforte. Col quale andò ad abitare in via Verdi 16 presso la Caserma Arimondi, dove nel 1968 sarebbe stato costruito il Centro di Produzione della RAI su progetto di Umberto Cuzzi. Nonostante le difficoltà non fu facile per nessuno convincerlo ad accettare un aiuto qualsivoglia, sicché Colliard può concludere una sua nota biografica, nel volume Familles nobles et notables du Val d’Aoste (Aosta, 1984; 2a ed. 1985) con alcune toccanti espressioni: «Ce grand seigneur doublé d’artiste, qui conservait encore de touchant souvenirs de sa jeunesse aostoise, mourut en 1956 à Turin, dans un état proche de la gêne, après avoir passé sa vie entière dans le célibat. Le 31 mars 1955, il avait été nommé membre de l’Académie St-Anselme».
I Bich hanno alle spalle una storia suggestiva. Una leggenda li vorrebbe originari dell’Inghilterra, ma le tradizioni familiari ripetono piuttosto l’ipotesi di un’origine toscana, a somiglianza di un’altra celebre famiglia valdostana, quella dei Passerin d’Entrèves: i Bich sarebbero diramazione dei Bichi senesi e i Passerin dei Passerini di Firenze, rifugiatisi ai piedi del Cervino al tempo delle sanguinose lotte civili trecentesche tra guelfi e ghibellini. Qualunque siano le origini, le più antiche notizie di entrambe le famiglie s’incontrano, quasi a sottolineare l’esistenza di un remoto legame, nel XV secolo, a Valtournanche. Più recentemente il cognome è documentato in varie località valligiane. Ai rami minori del ceppo insediato a Valtournanche (occorre dire che gli esatti agganci genealogici tra il ramo principale della famiglia e quelli di minore momento non sono noti) appartennero in tempi recenti numerosi personaggi interessanti, tra i quali possono essere ricordate alcune guide alpine, e in particolare Jean Baptiste (1837-1909) che fu, tra l’altro, protagonista, con Jean Antoine Carrel, della “conquista” del versante italiano del Cervino.
Il ceppo principale dei Bich s’insediò nel XV secolo a Châtillon, dove se ne hanno notizie certe a partire dal 1497. Di qui in avanti i personaggi notevoli furono parecchi. A livello locale possono essere citati, a puro titolo d’esempio, un Pantaleone, sindaco di Châtillon nel 1578 o Giovanni Giuseppe, parroco nel 1716 (è probabile che sia di questa linea anche Giambattista, parroco di Challant nel 1679-80), merita però in particolare di essere ricordato per il suo ruolo nel gettare le basi della futura importanza della famiglia, Pantaleone (1720-1801). Questi, seguendo l’esempio dato dai Challant e da altre grandi famiglie feudali che traevano parte della loro ricchezza dallo sfruttamento minerario, fondò o acquistò fabbriche di ferro con o senza altoforno a Châtillon, Verrès, Challand e per alimentarle comprò o affittò alcune miniere, iniziando ad esportare i suoi prodotti in tutto lo Stato sabaudo. L’impulso all’industria valdostana, sotto la spinta del suo attivismo, fu enorme, con importanti benefici per le popolazioni. A fine Settecento i Bich erano una tra le più ricche famiglie non solo della Valle ma dell’intero Stato sabaudo. Nel loro palazzo di Châtillon, trovarono ospitalità personaggi famosi: San Benedetto Labre, in viaggio verso Roma, vi si fermò attorno al 1770; al tempo della Rivoluzione Francese furono ospitati il duca e la duchessa del Chiablese e vari emigrati transalpini. Poi fu la volta di ospiti che per una famiglia fermamente legittimista erano probabilmente assai meno graditi, come Murat e Bonaparte, ricevuti tra le mura di palazzo Bich rispettivamente il 24 e il 25 maggio del 1800.
Pantaleone diede origine dal suo secondo e terzo matrimonio a due distinte linee, la prima soprattutto fu importante nella storia valdostana. Ad essa appartenne tra gli altri Emanuele, figlio di Gian Giacomo Pantaleone e di Filippina Passerin d’Entrèves, nato a Châtillon il 25 dicembre 1800 (nonno dell’ideatore della celebre penna). Laureatosi in medicina nel 1823 nell’Università di Torino, Emanuele si perfezionò a Parigi. Dopo essere stato per qualche tempo medico nell’Ospedale Mauriziano di Aosta fu nominato protomedico del Ducato. Lasciò notevoli studi scientifici quale l’Aperçu sur la fièvre tiphoïde qui règne épidémiquement à Aoste et aux environs, en automne 1843 et en hiver 1844, oppure il Rapporto e osservazioni intorno alla cura dei fanciulli cretini, ricoverati nell’ospizio Vittorio Emanuele II nella città di Aosta… (Torino, 1854). Fu membro dell’Accademia di Medicina e dell’Accademia delle Scienze di Torino. Il 13 luglio 1841 fu creato barone da Re Carlo Alberto «anche in considerazione della civilissima famiglia». Già da secoli i Bich facevano parte dei ceti dirigenti della Valle d’Aosta e contraevano alleanze matrimoniali con famiglie nobili locali e il titolo, seppur preceduto dalla nobilitazione, sembrò semplicemente sancire uno stato di fatto. Emanuele ebbe anche incarichi politici ed amministrativi: fu sindaco di Aosta dal 1838 al 1841 (si deve a lui la costruzione del bellissimo palazzo civico) e deputato liberale al parlamento subalpino nella VII legislatura.
In conclusione meritano di essere ricordati ancora alcuni rappresentanti della linea cadetta dei Bich, discendenti dal terzo matrimonio di Pantaleone con Giuseppina Cacchiardi de Montfleury (discendente da una delle principali famiglie del Nizzardo e, come si legge nella storia della nobiltà nizzarda del De Orestis, la prima di Breglio «soit par son ancienneté, soit par sa notoire distinction»). Vittorio Giuseppe (nato il 20 febbraio 1782), che sposò Carlotta Christillin, figlia dell’avvocato Giovanni e di Teresa Mazé de la Roche, si laureò in legge ed esercitò per qualche tempo la professione di avvocato. In seguito fu costretto, sia da una malattia che lo rese sordo, sia dal cattivo andamento delle fabbriche e miniere ereditate dal padre, ad occuparsi dell’azienda di famiglia, ma dedicandosi in realtà soprattutto ad interessi che lo attraevano maggiormente, quali la letteratura tedesca, la poesia e la musica, lasciando varie opere a stampa e manoscritte. L’imperizia mercantile e avverse vicissitudini di Vittorio Bich portarono questo ramo, cui si attribuiva all’inizio del XIX secolo un patrimonio superiore a un milione di Lire (una cifra davvero ingente) ad impoverirsi completamente. E quasi in completa povertà furono ridotti alla sua morte la moglie Carlotta (che dovette trovare rifugio presso l’asilo delle vedove nobili di St-Benoît de Chambéry) e i figli maschi Felice Pantaleone (1815-1882) e Claudio Francesco (1817-1888), autore di una notevole storia dei Bich e delle Mémoires historiques sur Châtillon et le Mandement ai quali Lin Colliard dedica queste suggestive espressioni che, ai nostri occhi, li rendono personaggi fascinosi, dei quali la memoria merita di restare viva: «Hommes de grande probité morale, traditionalistes convaincus, partisans aveugles du Trône et de l’Autel, ils n’ont rien de banal, de théâtral dans leur gêne extrême; au contraire ils surent conserver, même dans la détresse, des sentiments delicats, un jugement impartial et une piété qui les honore».