Storia, storie, luoghi, figure del Piemonte e degli antichi Stati Sabaudi
L’uso della “lavanda dei piedi” nella liturgia della Chiesa cattolica nelle funzioni del giovedì santo è assai noto. Nel corso dei secoli i vescovi e i superiori di gerarchie ecclesiastiche hanno ripetuto ogni anno il gesto del lavaggio dei piedi a tredici poveri. A questa consuetudine rituale non si sono sottratti gli stessi Pontefici, lavando nel giorno che commemora l’Ultima Cena i piedi di tredici sacerdoti di varie nazioni, vestiti da apostoli. Assai meno noto è il fatto che nel giorno del giovedì santo anche i sovrani europei rammentavano a se stessi il dovere dell’umiltà, lavando con le proprie mani, nel corso di una cerimonia complessa e ricca di atti suggestivi e simbolici, i piedi a tredici poveri.
I Savoia non facevano eccezione, anzi tenevano in modo particolare a mantenere viva questa tradizione. Alla corte sabauda la cerimonia, che era denominata Lavabo (con termine mutuato, nel nome ma non nei contenuti, dal rituale di purificazione delle mani del sacerdote nel corso della Messa) non si svolgeva soltanto il giovedì santo ma anche in occasione dell’ostensione della Sindone. Al Lavabo seguiva la cerimonia della Cena Domini, in cui il sovrano, il principe ereditario e gli altri “Signori del sangue” servivano a tavola i tredici poveri. Un minuzioso cerimoniale regolava lo svolgimento del Lavabo e della Cena Domini. Dopo la scelta dei poveri da parte dell’Elemosiniere si svolgeva in San Giovanni una Messa solenne. Di qui si passava a palazzo reale, dove era allestita una grande sala, predisposta tanto per il lavaggio quanto per il pranzo. Prima dell’inizio della cerimonia uno dei cappellani di corte distribuiva a S.A.R. e a quanti gli prestassero aiuto delle tovaglie da usarsi come grembiuli, poi si provvedeva alla “lavanda” e al dono di vestiti nuovi di “color argentino” ad ogni povero presente.
Nella parte della sala in cui si svolgeva il banchetto tutto era allestito con gran “magnificenza e solennità”, nella stessa forma adottata nei conviti solenni. Qui veniva preparata una tavola ad imitazione di quella dell’Ultima Cena. Il sovrano, in piedi, a capo scoperto, cinto da un “bianchissimo lino di tela finissima d’Olanda” serviva ad uno ad uno i poveri versando ad ognuno di loro il vino. I piatti gli venivano porti da grandi funzionari della Corona, dai principi del Sangue e dai cavalieri della SS. Annunziata. A mano a mano che i poveri finivano di mangiare ciascuna delle tredici portate previste, le abbondanti rimanenze venivano poste in grandi ceste appositamente preparate, già contenenti piatti e tovaglioli di cui si faceva omaggio ai parenti dei poveri intervenuti, onde potessero portare il tutto alle loro case. Ogni povero riceveva inoltre un’elemosina di una moneta d’oro.
Il dinamismo sabaudo nel campo della beneficenza e della sperimentazione e diffusione di primigenie forme assistenziali ad ampio raggio è cosa ben conosciuta e non bisogna credere che il Lavabo e la Cena Domini fossero soltanto gesti d’ostentazione o di degnazione fini a se stessi. Non per caso una tra le massime cariche dello Stato era, per volontà dei Savoia, quella del Primo Elemosiniere, che certo non si limitava a distribuire le elemosine del giovedì santo o del giorno della SS. Annunziata (quando quindici ragazze povere – cui venivano lavati i piedi da Madama Reale – ricevevano in dono dal sovrano vestiti e una dote di 200 Lire ciascuna da utilizzarsi al momento del loro matrimonio) ma doveva erogare elemosine ai carcerati, valutare le richieste d’aiuto economico che giungevano dagl’indigenti, sovrintendere all’ospedale dei poveri di Torino “acciò detto ospedale e li poveri che vivono in esso abbiano chi li assista ed invigili sopra tutto ciò che può occorrere”. Con la Lavanda dei piedi ai poveri erano perciò ben lungi dall’esaurirsi gli impulsi caritativi dei sovrani sabaudi, per i quali la cerimonia rappresentava semplicemente un alto momento simbolico.
GMN