Anche Sergio Notario ci ha lasciati. La cultura piemontese son-a la passà per un’altra sua figura di spicco.
Sergio era conosciuto per le sue molteplici attività, le sue competenze, ma soprattutto per la sua grande umanità, la sua simpatia, la sua capacità di essere ironico e spiritoso pur restando bonario, la sua semplicità nell’offrire testi scritti in un bel piemontese eppure sottili nella tessitura e nel messaggio.
Nato nel 1934, frequentò il liceo D’Azeglio e successivamente la Facoltà di Lettere, laureandosi con Giovanni Getto nel 1961. Svolse la sua attività professionale come dirigente dell’ENEL, occupandosi, tra l’altro, di formazione del personale.
Con il nom de plume di Giari tre nos seppe portare nel campo della lingua piemontese le sue doti letterarie, dando vita a pagine brillanti, originali, che hanno segnato piacevolmente la lettura di riviste come “La Slòira” e “Piemontèis Ancheuj”.
Socio della Ca dë Studi Piemontèis, è stato docente nei Corsi di Lingua e letteratura Piemontese organizzati dal Centro Studi Piemontesi e dalla Regione Piemonte. E per anni ha curato il corso di Lingua e Letteratura Piemontese all’Università della Terza Età, capace come pochi di accendere l’interesse e mantenerlo vivo.
L’ultimo impegno che i problemi di salute gli permisero di portare a compimento fu la libera traduzione in piemontese, con Simone Spaccasassi, del Manifesto del Partito Comunista/Tilèt dël Partì Comunista di Karl Marx (edizioni Zambon, con la collaborazione del Centro Studi Piemontesi), in cui Notario – cosa nota – vedeva l’espressione dei suoi ideali politici e sociali. Notario e Spaccasassi hanno recuperato alla lingua piemontese un alto contenuto filosofico e socio-economico scandito nella sua autentica intonazione, mirata non a un generico “popolo”, di cui si riempie la bocca il qualunquismo, ma a quella parte dell’umanità che detiene, nella concezione marxiana, la forza motrice della storia: la classe lavoratrice.
Sergio Notario: un amico che ha fatto con noi un bel po’ di strada e a cui diciamo: mersì, a l’arvista!
Giuseppe Goria